Cose da Vedere ad Ariccia
Ariccia è il borgo incantato a due passi da Roma, dove godersi il gusto delle Osterie e vedere nuove cose.
Pochi altri centri storici in Italia possono vantare un connubio così duraturo e riuscito tra gastronomia ed arte, tradizioni ed esperimenti, senza perdere il fascino della genuinità.
Ariccia vanta origini molto antiche, risalenti ad un’epoca precedente la fondazione di Roma.
L’antica Aricia fu teatro dell’omonima battaglia condotta sulle sponde del lago di Vallericcia tra etruschi e Latini per il controllo dell’Italia centrale e più tardi, nel quarto secolo a.c., Roma scelse Ariccia come stazione di posta per chi percorreva la commerciale via Appia.
Ariccia accoglieva i viaggiatori con numerose locande ed osterie. Non tardò a divenire anche una rinomata località di villeggiatura per le personalità romane costruirono ville e santuari.
L’ospitalità del luogo è sempre stato un tratto distintivo sin dai tempi remoti, e non potrebbe essere altrimenti se si pensa che le sue specialità gastronomiche ed enologiche richiamano ogni anno turisti da tutto il mondo, accolti con la cornice dello straordinario patrimonio architettonico della città.
In questa breve guida trovi dieci cose da vedere e provare ad Ariccia.
1. Sagra della Porchetta di Ariccia
La prima tappa ad Ariccia ha come protagonista assoluta l'intramontabile Porchetta di Ariccia alla quale è dedicata la celebre Sagra della porchetta che si tiene ogni primo fine settimana di Settembre nel centro storico del comune e precisamente nella suggestiva cornice di Piazza di Corte.
La tradizione del cibo da strada ha origini remote e, per celebrare l’usanza, nel 1950 un gruppo di piccoli produttori locali decise di vendere il prodotto su banchi situati sulla piazza.
L'evento si teneva mentre dei figuranti vestiti nel costume storico di Ariccia intrattenevano i clienti con balli e stornelli.
Gli attori di strada furono portati alla ribalta negli anni ’70 dal festival degli sconosciuti di Teddy Reno e grazie alla squisitezza della porchetta, preparata e arrostita secondo tradizioni tanto antiche quanto "segrete", la Sagra della Porchetta è divenuta in pochi anni un appuntamento per migliaia cultori del gusto.
2. Fraschette di Ariccia
Il luogo migliore dove gustare le offerte gastronomiche di Ariccia sono le "Fraschette", osterie tipiche della zona dei Castelli Romani dalle origini antichissime che affondano nelle osterie che popolavano l’antica Ariccia.
Il nome deriva da un’usanza diffusa nel medioevo, quando i viticoltori, terminata la vendemmia dell'uva, appoggiavano sopra l’ingresso delle loro osterie una frasca per segnalare (a chi era di passaggio) che all’interno potevano trovare il vino.
Poiché le Fraschette erano sprovviste di cucina e agli avventori non rimaneva che portare da casa un fagotto con le cibarie da accompagnare al vino (da qui “fagottari”), gli abitanti di Ariccia presero l’abitudine di allestire dei banchi di generi alimentari nei pressi delle osterie per vendere pane, olive, formaggi, sottoli e, naturalmente, porchetta.
Nel corso degli anni le Fraschette si dotarono di cucine, ed ancora oggi la profusione di ottimo cibo servito agli ospiti fa da contrappeso alla semplicità dell’arredamento: botti, panche di legno e stoviglie in coccio per richiamare la stessa atmosfera allegra di musica e poesie vernacolari che un tempo riempiva questi tipici locali.
3. Chiesa monumentale del Maestro Gian Lorenzo Bernini
Tuttavia, fermarsi alle caratteristiche culinarie di Ariccia sarebbe riduttivo nei confronti di una città che vanta un patrimonio artistico e culturale così ampio, indissolubilmente legato al nome di un architetto dal temperamento appassionato e geniale: Gian Lorenzo Bernini.
L’impronta dell’artista barocco ad Ariccia non è solo architettonica ma urbanistica: nella seconda metà del XVII secolo riprogettò l’intero borgo, la viabilità interna, i luoghi di culto il palazzo nobiliare e tutta la piazza principale, ideando soluzioni stilistiche e prospettiche geniali.
Su Piazza di Corte si affacciano gli edifici più belli della città, tra cui la maestosa collegiata di Santa Maria Assunta.
Su incarico della famiglia Chigi e su progetto di Bernini, la costruzione della chiesa monumentale fu terminata nel 1665 ed andò a sostituire l’antica collegiata eretta intorno al VI sec. d.c.ormai in rovina, che Luigi Bernini, fratello minore di Gian Lorenzo ed architetto anch’egli, riuscì in parte a salvare dalla demolizione ordinata da papa Alessandro VII, il quale desiderava una ricostruzione trionfale di Ariccia il cui feudo era stato appena acquistato dalla sua famiglia.
La chiesa è considerata dagli studiosi come un’opera architettonicamente perfetta, dalla struttura bassa ed alleggerita dai due porticati che si sviluppano longitudinalmente ai lati dell’ingresso centrale – annessi al Casino del Governatore da un lato e al Casino del Ministro dall’altro – donando lunghezza e armonia al complesso.
Gian Lorenzo Bernini era noto per le illusioni ottiche che sapeva rendere giocando sulla prospettiva.
Un esempio di tale abilità è sicuramente l’Esedra, ossia la fila ricurva di colonne che accoglie la chiesa.
La magia prospettica del Bernini, riducendo lo spazio tra le colonne e abbassando progressivamente l’altezza del cornicione, ha fatto sì che da un determinato punto di osservazione il porticato dia l’impressione di restringersi, per donare profondità all’intero complesso architettonico e mettere in risalto il corpo centrale della collegiata.
Gli interni barocchi tuttavia - a pianta centrale circolare con sei altari laterali e una cupola che doveva richiamare quella del Pantheon di Roma – all’epoca furono considerati poco accoglienti per la celebrazione delle funzioni religiose e vennero ripetutamente ampliati su ordine dei cardinali che si avvicendarono alla guida del capitolo ariccino.
4. Ponte di Ariccia
Nella scenografica Piazza di Corte si colloca anche il Ponte di Ariccia, un monumentale viadotto costruito per rettificare il percorso della Via Appia nel tratto che collegava Albano Laziale e la Vallericcia, e restaurato nel 2022.
Oggi tristemente noto per i troppi morti suicidi, fù costruito quando per sfuggire alle razzie dei barbari il centro abitato fu ritrasferito sul colle, si rese necessario costruire una strada per raggiungere la vallata e ricongiungersi all’importantissima Via Appia.
Il dislivello e la scarsa solidità dei terreni paludosi rappresentava un problema alla costruzione che fu definitivamente accantonato quando, nel trecento dopo anni di incursioni barbariche e declino medioevale, Ariccia si spopolò definitivamente, il feudo andò in rovina e con esso le famiglie che lo governavano.
Insieme ad altri feudi dei Colli Albani, quello di Ariccia venne annesso alle contigue castellanie della Camera Apostolica di Roma e nel 1473, insieme a tutte le sue case in rovina, fu barattato dal futuro papa Giulio II della Rovere con la tenuta di Grottaferrata della famiglia Savelli.
La proverbiale lungimiranza culturale di papa Giulio II fece porre al pontefice una condizione al negozio: i Savelli dovevano riportare Ariccia all’antico splendore costruendo, edificando, riparando. Si ripresentò così il problema di raggiungere la via Appia superando il dislivello tra centro abitato e vallata.
Gregorio XVI intuì che la soluzione poteva essere rappresentata dalla costruzione di un ponte che collegasse la strada con il centro di Ariccia; alla sua morte il successore Pio IX mise in pratica l’idea affidando il progetto all’architetto Giuseppe Bertolini che concluse i lavori nel 1854. Il ponte è stato così praticabile fino alla seconda guerra mondiale quando i bombardamenti del 1944 distrussero il Ponte e parte di Palazzo Chigi. Subito ricostruito, rimane oggi uno dei monumenti più spettacolari di Ariccia, che sormontando il vastissimo Parco Chigi conduce dal centro storico alla parte bassa della città.
5. Palazzo Chigi ad Ariccia
Se Gian Lorenzo Bernini ha potuto lasciare impresso il suo genio indiscusso nel patrimonio urbanistico di Ariccia, lo si deve alla munificenza della famiglia Chigi. Quando la famiglia Savelli cominciò a versare in cattive condizioni economiche e non furono più in grado di rimettere in sesto la città, accettarono l’offerta di vendere il territorio di Ariccia ai nipoti di papa Alessandro VII, Flavio, Agostino e Mario Chigi.Famiglia ricchissima e di prestigio, trasferì tutto il suo splendore culturale da Roma ad Ariccia, per la quale sotto l’insegna dei Chigi iniziò un periodo d’oro.
Bernini, che stava già lavorando a Piazza di Corte e alla collegiata, si mise al lavoro sul progetto di restauro e il palazzo dei Savelli che si trovava sulla piazza fu trasformato in Palazzo Chigi, una delle dimore barocche più importanti di tutta Italia, arappresentare la rinnovata bellezza di Ariccia.I Chigi ornarono fastosamente le stanze del palazzo: alle pareti ricoperte di broccati di seta venivano accostati dipinti e sculture, i soffitti venivano decorati con volute e affreschi, le stanze più belle come la Stanza del Cardinale e i venti locali del Piano Nobile erano veri scrigni di tesori inestimabili (oggi esposti nell’annesso Museo del Barocco Romano) ricevuti in dono dai vari cardinali e pontefici che popolarono la dinastia alcuni dei quali provenienti dalle altre dimore di famiglia, tra cui il Palazzo Chigi del centro di Roma, ora sede istituzionale del Governo.
6. Parco Chigi
Il Palazzo fu trasferito dai Savelli ai Chigi insieme al Parco circostante, che si presentava come un giardino naturale di rara bellezza, ricco di specie vegetali e soprattutto di storia poiché sorgeva sulle vestigia del Nemus Aricinum l’antico bosco consacrato a Diana e la folta vegetazione per anni aveva nascosto una grande quantità di reperti archeologici.
Bernini trasformò quella che i Savelli avevano usato come area di caccia – peraltro facendovi costruire la famosa Uccelliera nei pressi delle rovine della chiesa di San Rocco e collocandovi il sepolcro di Simon Mago – nel Parco Chigi, un’oasi punteggiata di sentieri ombrosi protetti dai lunghi rami degli alberi secolari, decorato con maschere, stemmi e piccoli monumenti dai nomi evocativi, come il complesso delle fontane del Mascherone, la Pescheria, il Purgatorio delle acque.
Parco Chigi era così meraviglioso nel pieno dello splendore che nel periodo tra il ‘700 e l’800 fu continuamente visitato da artisti come Turner e scrittori come Stendhal, che lo definì il più bel parco del mondo ed inserito nelle mete del Grand Tour d’Italie.
Al termine delle annessioni di vigneti, parchi e sezioni di bosco che erano rimaste fuori dagli originari confini tracciati dai Savelli, il Parco assunse dimensioni spettacolari e nel 1805 contava 274 ettari di latifoglie, lecci, aceri, cedri, sequoie e un fitto sottobosco profumato di alloro, pungitopo e viburno.
Oggi, il parco monumentale si estende per 28 ettari ed è stato incorporato dal Parco Regionale dei Castelli Romani, per preservare le specie vegetali più anticheancora presenti all’interno del bosco, come alcuni esemplari di sequoia.
7. Piazza di Corte
Piazza di Corte fu scelta dal Bernini come scenografia ideale per collocare le due Fontane che progettò nel 1665 su commissione di papa Alessandro VII, e fece realizzare dallo scalpellino Ambrogio Appiani.
Bernini concepì il progetto di due fontane simmetriche poste al centro della piazza tra Palazzo Chigi e la collegiata, strutturate con un’ampia vasca circolare in peperino da cui emerge uno stelo su cui poggia una vasca in travertino più piccola e profonda, la “tazza”.
In entrambe le tazze sono stati scolpiti i monti a sei colli emblema della famiglia Chigi, ma in origine fu previsto che solo una delle due fontane doveva essere mantenuta dal casato, mentre l’altra fu affidata alla cura dell’intera comunità di Ariccia.
Per questo motivo, le Fontane furono distinte chiamando l’una Fontana del Principe, con lo stelo adornato della stella presente nello stemma dei Chigi, e l’altra Fontana del Popolo con un fiore, simbolo della comunità, nello stelo.
Solo la Fontana del Principe presenta i segni di un restauro avvenuto prima dei recenti interventi conservativi della Soprintendenza, ovvero il rifacimento della tazza in marmo ordinato da Sigismondo Chigi verso la fine del ‘700.
8. Belvedere di Ariccia
La bellezza di Ariccia non è tutta incastonata nella splendida cornice architettonica di Piazza di Corte.
Affacciandosi al Belvedere di piazzale Giuseppe Mazzini, la vista del paesaggio è ineguagliabile da qualsiasi altro punto di osservazione. Da qui, il colpo d’occhio abbraccia la verde vallata sottostante della Vallericcia, l’antico bacino lacustre formatosi dal cratere del Vulcano Laziale e bonificato in epoca romana, che conserva ancora i resti del primo insediamento urbano di Ariccia (Aricia).
Una distesa di coltivazioni rigogliose in un terreno particolarmente fertile che i sedimenti vulcanici hanno arricchito di minerali, gli stessi che insaporiscono il vino dei Castelli Romani che nasce dalle uve coltivate in queste terre.
Oltre la Vallericcia, in condizioni di cielo terso, al panorama si aggiunge anche il profilo di Roma e oltre, fino alle sponde laziali del Tirreno. Dalla vallata, con lo sguardo idealmente si risale al centro storico di Ariccia seguendo la linea dello spettacolare Ponte, che maestoso si inoltra nelle mura medioevali fino alla Piazza di Corte.
9. Santuario di Galloro
Narra la leggenda che nel 1623 un fanciullo toscano ospite dello zio ad Ariccia si addentrò nella macchia della valle di Galloro alla ricerca di erbe selvatiche quando, facendosi largo tra i rovi, vide un bagliore emanare da un sasso e l’immagine della Vergine nella luce. In quel luogo fu posata la prima pietra del Santuario di Galloro.
Più probabilmente, il bambino toscano scoprì l’immagine in pietra della Madonna di Galloro, dimenticata dai devoti dopo che tempo addietro la chiesa di Ariccia rifiutò alla duchessa Savelli il permesso di costruire una cappella dedicata all’immagine sacra con lo stemma della casata e la prima pietra della chiesa fu distrutta dagli operai secoli dopo, durante la costruzione di un mulino ad olio (i frammenti furono poi recuperati e conservati).
Tutto ciò che è certo è che il bambino divenne il chierico della prima cappella consacrata alla Madonna di Galloro, inaugurata nel 1623 con una cerimonia così sfarzosa che fu in gran parte con le offerte raccolte in quel giorno che fu eretta una chiesa più grande con il convento, inaugurata dieci anni più tardi con i medesimi onori.
Alla Vergine gli abitanti di Ariccia attribuivano prodigi: secondo la tradizione popolare aiutò la città ad uscire indenne dalle epidemiee compì miracolose guarigioni; mise in fuga i francesi che stazionavano fuori dal centro abitato di Ariccia dopo aver requisito i beni sacri presenti in città diffondendo improvvisa la notizia dell’imminente arrivo dell’esercito napoletano.
L’esterno fu restaurato con il contributodi Gian Lorenzo Bernini nei tempi in cui si trovava alla corte dei Chigi mentre gli interni in puro stile barocco, ospitano l’immagine sacra della Madonna di Galloro, ritornata alla sua collocazione naturale dopo che, per sfuggire al sacco dei francesi nella seconda metà del XVIII sec., fu trafugata dai fedeli e nascosta nella collegiata già sottoposta alla requisizione.
10. Locanda Martorelli
Testimonianza del caratteristico spirito di accoglienza di Ariccia è lo storico edificio della Locanda Martorelli che si affaccia su Piazza di Corte.
Mentre si trovava a Roma per affrescare il soffitto di S. Stanislao dei Polacchi, Taddeo Kuntze, talentuoso pittore di Cracovia, si recò nella zona dei Castelli Romani per dipingere le sale delle Ville di Frascati nel suo tipico stile rococò e, richiamato dalla bellezza della città, si recò ad Ariccia per affrescare le pareti di una dimora privata con scene mitologiche dell’Eneide sulla fondazione di Ariccia e la sua consacrazione alla dea Diana. Nel 1820, la dimora fu acquistata da Antonio Martorelli e convertita in locanda.
Il continuo arrivo ad Ariccia di intellettuali, artisti e letteratirichiamati dalle meraviglie dell’architettura e della cucina, fece sì che la locanda divenisse un fervido ritrovo culturale dove tra una poesia ed un bicchiere di vino personalità di spicco come Massimo D’Azeglio, Turner, Stendhal eCorot, lasciarono pensieri e disegni impressi sulle pareti della Locanda.
L’oste, per conservare gli affreschi di Kuntze, aveva messo a disposizione degli ospiti le pareti del terzo piano che si affacciavano sugli splendidi scorci della piazza e della vallata. Le stesse vedute che, rimaste nella memoria di chi soggiornava, avrebbero reso celebre Ariccia e i Castelli Romani in tutta Europa.
11. Vallericcia
L’area della Vallericcia è abitata fin da tempi remotissimi, grazie al terreno fertile ed alle abbondanti riserve idriche.
In origine il nucleo abitato era collocato più a valle ma, come testimoniano i reperti archeologici, durante l’influenza degli Etruschi si estendeva fino al colle dove sorgeva l’Acropoli ed era circondato da imponenti mura in blocchi di peperino, tagliati in forma di parallelepipedo e alternati a strati di terra, secondo il metodo di fortificazione etrusca, di cui sono stati rinvenuti ampi tratti a ridosso dell’abitato moderno.
L’Impero romano, considerata l’importanza di Ariccia, decise di procedere alla sistemazione della via Appia Antica e alla bonifica dei terreni paludosi circostanti convincendo la popolazione a spostare strategicamente il centro degli affari e della vita dall’Acropoli alla parte più a valle. Fino a quando secoli dopo gli abitanti non furono costretti a risalire verso l’acropoli per sfuggire alle orde barbariche che saccheggiavano le campagne romane, la vita di Ariccia prosperava intorno alla via Appia.
Trovandosi ad un giorno di viaggio da Roma, Ariccia fu eletta mansio per le truppe militari e con l’apertura di taverne, terme, locande e mercati, divenne ben presto stazione di sosta per gli altri viandanti.
Dell’antico foro, rimangono i resti dell’Osteriaccia, un’antichissima taverna dove si effettuava il cambio dei cavalli, mentre del centro abitato rimangono due Ville romane di cui una dell’Imperatore Vitellio, alcuni edifici religiosi e tombe.
Delle opere imperiali invece, esempio della grandiosità ingegneristica di Roma, è possibile ammirare il magnifico lavoro di sistemazione della via Appia Antica eseguito nel II sec. a.c. per consolidare il tratto di strada nel dislivello tra la Vallericcia e Genzano: un enorme viadotto di sostegno (sostruzione) di cui oggi sono visibili circa duecento metri. Da ultimo nel mese di Gennaio 2021 sono stati ritrovati basamenti di grandi costruzioni, a poca distanza dal celebre Basto del Diavolo.
12. La salita discesa del diavolo
A poca distanza dalla piazza di Ariccia, arteria importante di collegamento della cittadina, vi è la salita discesa del diavolo: una strada che sembra in salita ma in realtà è in discesa!
13. Cisternoni vicino Ariccia
Ariccia era stata prescelta come stazione di posta per il ristoro delle truppe non a caso: poco oltre, nel territorio urbano di Albano Laziale, l’imperatore Settimio Severo aveva fatto costruire i Castra Albana, un accampamento fortificato stabile per i militari della Seconda Legione. L’accampamento era molto simile ad una vera e propria città, all’interno alloggiava 6000 legionari ed intorno alle mura erano sorti piccoli villaggi di commercianti e familiari.
Negli anni seguenti, per garantire l’approvvigionamento di acqua alle truppe e ai civili, gli architetti militari progettarono una delle più spettacolari opere monumentali dell’Impero Romano, un’enorme cisterna idrica sotterranea in grado di immagazzinare oltre 10.000 metri cubi di acqua, il “Cisternone”.
La cisterna fu realizzata scavando direttamente la roccia ed aggiungendo lastroni di peperino, una roccia magmatica presente in abbondanza nei Colli Albani, con una pianta rettangolare di circa 45 mt per 30 mt, divisa in cinque navate con volta a botte sostenute da pilastri e rivestita, fin dai tempi della sua costruzione, da intonaco impermeabile. L’acqua veniva immagazzinata per mezzo di due acquedotti che attingevano alle falde del bacino lacustre della Vallericcia e riversavano le acque a cascata direttamente nei serbatoi.
Furono previsti lucernari e finestroni per l’aerazione e proprio da uno di essi, riconoscibile perché impreziosito da delfini e altre sculture, fu ricavato l’accesso alla cisterna: occasionalmente, scendendo per i gradini, si poteva raggiungere il fondo per la pulizia e solo allora ci si poteva rendere davvero conto di quanto fossero immense le proporzioni di questa costruzione, dopo millenni ancora in funzione per l’irrigazione di fontane e verde pubblico.